Usi e Costumi di un paese tra Tindari e Milazzo.

25-05-2018 20:25 -

Da qualche mese è in distribuzione la Nuova Edizione del libro di Carmelo Bonvegna, "Usi e costumi di Rodì e Milici, indagine storico-etnologica in un centro dell´entroterra milazzese", Bastogi Editore, 2018 raccoglie ciò che fino ad alcuni decenni fa rimaneva del mondo tradizionale e popolare a Rodì e Milici, un comune in provincia di Messina posto sulle colline tra Tindari e Milazzo davanti al Mar Tirreno, azzurrissimo, e alle splendide Isole Eolie.

Egli attinge un po´ ai ricordi personali, avendo in quei luoghi trascorso l´infanzia e la prima giovinezza (1950-60) e, molto, ai racconti di vita vissuta di chi, già anziano a quell´epoca, ne era stato attore e protagonista in prima persona. Una descrizione puntuale e qua e là vivace di situazioni, immagini e figure di uomini e donne irripetibili che appartennero a un passato ormai completamente scomparso: una società contadina tanto lontana da apparire oggi quasi incredibile ma che fu viva e presente fino alla prima metà del secolo scorso.

Il lettore potrà trovarvi notizie riguardanti le origini più o meno storiche dei due paesi inseriti nelle più ampie vicende della Sicilia, il loro nome e quello del "fiume", l´enorme torrente Patrì coi suoi mulini ad acqua e i giardini di palme e aranci (cap.I); descrizione delle contrade sulle colline e le montagne vicine con particolare attenzione all´ambiente, al lavoro e alla cultura dei pastori (cap. II); i quartieri di Rodì, le denominazioni antiche delle strade e delle piazze, le chiese, le case, le pietre lavorate dai "mastri pirriatùri", le famiglie e i parentadi coi cognomi e i soprannomi - "i ngiùrii" -, i vari mestieri tradizionali esercitati - bottai, carradori, sportari... -, gli attrezzi usati, i manufatti e il loro impiego con disegni e alcune precise nomenclature (cap. III); gli influssi di altre culture con l´apporto di genti che, provenendo da paesi del versante ionico e della Valle dell´Alcantara, periodicamente passavano a piedi, a cavallo o sui carri nel "fiume" e nel paese per recarsi cantando, "pellegrini", alla Madonna del Tindari in maggio e settembre, "firiànti" alla gran fiera di Termini (Terme Vigliatore) o, nel percorso contrario verso Sud, di "iurnatàri" rodiomilicioti che andavano a mietere o a vendemmiare nella Piana di Catania e alle falde dell´Etna (cap. IV); le ricorrenze calendariali legate all´anno liturgico e alle feste religiose, alle sacre rappresentazioni e processioni dei Santi e della Madonna venerata sotto diversi titoli sono trattate, infine, nel V e ultimo capitolo.

Ne risulta un quadro minuzioso e variegato: una folla di personaggi tra primi attori e semplici comparse che riempiono e tengono la scena e che parlano un dialetto arcaico ormai caduto in disuso e quasi sconosciuto ai più giovani. E nell´autentica lingua siciliana l´autore riporta le descrizioni di alcune attività come quella della costruzione dell´ovile - "a mandra" - dei pastori e del pagliaro "tundu" e "longu" coperto di ginestra o del complesso lavoro della lana e del telaio o di quello sull´aia - "u pisàri" - coi buoi che trascinano la pietra per triturare le spighe.

E poi le moltissime preghiere, specie quelle della Settimana Santa, rigorosamente in vernacolo, e le poesie "d´amùri", "spartènza" e "sdegnu" che vennero cantate "â-rrudiòta", "â capuàna" e "all´antiddìsi" in casa e nei campi fino agli anni 1940-50; in queste alcuni vocaboli, passando di bocca in bocca, sono diventati incomprensibili e intraducibili e tali risultavano già agli stessi anziani che, mezzo secolo fa, quelle preghiere e poesie avevano recitato all´autore per la prima volta.

Il libro si presenta, inoltre, con un´ampia bibliografia valida per fare confronti e riferimenti ad altri autori e un minuzioso apparato di note a piè pagina per spiegare tanti particolari e aggiungerne degli altri. Un grande corredo di foto arricchisce, poi, il testo; alcune - l´aratura coi buoi, il carro, il telaio, il pagliaro - sono forse le uniche e le ultime scattate negli anni 1970, poco prima che certi lavori andassero in disuso, gli attrezzi in disarmo definitivo o venissero addirittura distrutti: valgono, dunque, come prezioso documento di un´epoca ormai consegnata alla Storia.