54 anni fa, la visita di Leonardo Sciascia a Savoca "restò colpito dall´esuberanza del paesaggio".

18-06-2016 21:21 -

Savoca - Sciascia restò colpito dall´esuberanza del paesaggio e della natura tutt´intorno, nella sua esplosione vitale, che contrastava con l´immobilità umana

La recente riproposizione in volume di saggi e articoli di Leonardo Sciascia sparsi e dispersi su riviste e giornali (Fine del carabiniere a cavallo, Adelphi, MI, 2016), sul quale abbiamo dato testimonianza in questo giornale il 2 aprile scorso, ci dà lo spunto per ricordare un articolo - apparso su "Il Giorno" del 12 maggio 1962 - che egli scrisse sulla sua visita a Sàvoca, da noi accompagnato.

L´aspetto principale che lo colpì fu lo stato di rovina e d´abbandono in cui versava il paese allora (ben cinquantaquattro anni fa), tanto è vero che il titolo dell´articolo eloquentemente suonava "Ritratto di un paese che muore - Attendono nel deserto la manna dei turisti", come peraltro auspicava il priore del convento dei Cappuccini, padre Anselmo Trischitta, discendente di uno dei sette Trischitta che firmarono nell´ottobre del 1676 la "resa" della cittadina all´armata francese "venuta a portar soccorso ai messinesi che si erano ribellati al dominio spagnolo", e comandata dal Maresciallo duca di Vivonne (e Sciascia, con la sua tipica ironia, aggiunge che costui, "ad insinuazione del conte d´Aubigné, fratello della Maintenon, doveva il bastone di maresciallo a sua sorella, la signora di Montespan").

Lo scrittore - staremmo per dire "sciascianamente" - risale al suo amato Voltaire: "Si divertirebbe il vecchio Voltaire a sentire da padre Anselmo la storia dei bachi che hanno intessuto un drappo di seta per la Madonna di Loreto che qui si venera: da soli, naturalmente; e in adempimento ad una promissione fatta dalla loro padrona e non assolta. E il drappo c´è ancora, in chiesa; con cartiglio che ne racconta la storia".

Poi riferisce dei turisti che padre Anselmo attende: "il ricordo di una comitiva di ben trentaquattro danesi accende di felicità i suoi occhi... Le vuote celle del convento sono pronte a ricevere turisti: su ogni porta, lungo il corridoio, si leggono versi come questi: ´La vita fugge e si dilegua, ohi lasso! / Dalla culla alla tomba è un breve passo´... che certo darebbero decadentistici brividi alle nordiche comitive". Ma i turisti, almeno allora, a Sàvoca fanno solo una puntata, preferendo gli alberghi di Taormina e persino di Forza d´Agrò, che a quel tempo era venuto alla cronaca per un film - di "astrale cretineria" - che vi aveva girato il regista Negulesco.

Cita i quadri della chiesa - con una puntualizzazione su "Antonello" citato dal priore, solo "de Saliba", comunque riprodotto in cartolina e venduto ai visitatori - e la cripta "in cui i morti stanno, in piedi nelle nicchie, a far macabro carnevale" (ma lo scrittore, "al di là della pietà, al di là dell´orrore" evitò di scendere nei sotterranei). E spiega lo spopolamento del paese con quel "fenomeno, relativo a quasi tutto il litorale della penisola italiana e delle isole, verificatosi dalla fine del secolo XVIII, quando la paura delle incursioni piratesche cominciò ad attenuarsi e le popolazioni, che si erano arroccate sui monti sovrastanti le coste, si spostarono verso il mare. Poi lungo il litorale si aprirono le vere e proprie strade di comunicazione. E poi la ferrovia".

Anche se "lo spostamento della popolazione verso il lido e la soppressione della sede vescovile (Sàvoca era sede di archimandrita, cui appartenevano ventiquattro dei quarantotto feudi che formavano il territorio del comune) spiegano fino a un certo punto la spaventosa decadenza di Sàvoca.

La più diretta causa è da ricercare nella concessione dell´autonomia amministrativa ai villaggi sorti, in territorio di Sàvoca, lungo la strada carrozzabile Messina-Catania; e precisamente alla costituzione del Comune di Santa Teresa Riva, nel 1853". E non dimentica di citare la "guerra" sorta con quest´ultimo comune, quando nel 1928 era stato addirittura eliminato quello di Sàvoca, poi ricostituito nel 1948.

Sciascia restò colpito dall´esuberanza del paesaggio e della natura tutt´intorno, nella sua esplosione vitale, che contrastava con l´immobilità umana. "E le nostre voci, mentre andiamo su e giù per le strade del paese e ci fermiamo ad ammirare portali, rosoni, bifore - e il paesaggio ad ogni svolta diverso, per cui si dice che Sàvoca ha sette facce - suonano sperse, irreali".


Allora la vita del paese era legata all´agricoltura (ma dei tre monaci del convento padre Anselmo non cita padre Basilio da Naso, studioso di storia locale, "forse perché immerso nelle sue vecchie carte, estraneo e lontano"). E paragonando la vocazione turistica di Taormina a quella di Sàvoca, aggiunge: "In quanto a posizione, Sàvoca non ha niente da invidiare nemmeno a Taormina".

Cita il Fazello, che riferisce di una fonte che diffondeva "acque mescolate all´olio" (nelle note di aggiornamento del Di Marzo, del 1856, veniva precisato: "Contiene il suolo di Sàvoca petrolio, piombo, marcassita, antimonio nativo e ferro micaceo").

E conclude: "Di questo fonte che diffonde acque mescolate all´olio, nessuno ha memoria. Ma in Sicilia è più facile conservare memoria dei fenici che di un´acqua che sa di petrolio. Anche padre Anselmo punterebbe tutto sull´antica Pentefur o Pentefar, sul remoto e leggendario paese che fu poi Sàvoca; sulle ricerche archeologiche, sui morti nella cripta, sul quadro di Antonello (de Saliba), sull´incanto del paesaggio. E niente sul petrolio".

E´ vero tuttavia che l´auspicio "turistico" di padre Anselmo si è poi avverato, anche se oltre cinquant´anni dopo. In una recente visita al paese, mai avevamo visto tanti pullman e tanti visitatori in giro, al punto che la lingua inglese suonava più dell´italiano.

Di Sergio Spadaro - critico letterario