19 Aprile 2024

E li chiamarono briganti.

Riprendo gli studi storici, stavo presentando il documentato testo di Francesco Pappalardo, "Dal banditismo al brigantaggio", pubblicato da D´Ettoris Editori (2014), il testo dopo aver analizzato i fenomeni del banditismo e degli insorgenti, dedica l´ultima parte al brigantaggio. Una pagina importante della resistenza delle popolazioni meridionali tra il 1860 e il 1870, subito dopo l´annessione forzata del Regno delle Due Sicilie, contro l´invasione degli eserciti piemontesi.

Per troppi anni è stata raccontata una storia non vera su questa guerra civile, ora da qualche decennio dei valenti studiosi, hanno studiato il fenomeno utilizzando un´ampia documentazione e soprattutto numerose fonti storiografiche, tra questi studiosi c´è sicuramente Pappalardo.

Il fenomeno del brigantaggio è un nodo della storia nazionale imprenscindibile per capire gli attuali problemi del Mezzogiorno. Qualche anno fa Pappalardo è stato intervistato dalla rivista storica online Identitanazionale.it per commentare una fiction della Rai,"Il generale dei briganti", dedicata al leggendario capopopolo lucano Carmine Crocco (1830-1905). In quella occasione Papppalardo criticava aspramente la Rai, che nonostante i tanti studi seri sull´argomento, ha perso un´occasione per raccontare la vera storia del brigantaggio meridionale."Troppe le falsità storiche. È inaccettabile che la Rai, servizio pubblico, mandi in onda simili falsificazioni".(F. Pappalardo,"Così la RAI ha tradito i briganti", 24.2.12)

Pappalardo dopo aver raccontato le gesta più o meno eroiche di Carmine Crocco che arrivò a comandare un esercito di 2-3 mila uomini, in una guerra sua ma anche dei briganti, che peraltro, poteva avere un risultato diverso se Crocco continuava a collaborare con il generale catalano Josè Borges, inviato dal re borbone per coordinare l´insurrezione. Continuando nell´intervista, Pappalardo sfata alcuni luoghi comuni fin troppo grossolani, che purtroppo continuano a essere raccontati per esempio sui nostri libri di Storia(?) scolastici.
Nella vulgata i briganti son passati solo come un gruppo di criminali o cafoni.

Bisogna ritornare alle origini del fenomeno. Quando nel 1860 Francesco II di Borbone abbandona Napoli tutte le popolazioni di Campania e Abruzzo reagiscono contro i Savoia e i garibaldini. È una vera guerra civile. Nel 1861 trenta comuni campani inalberano la bandiera borbonica: sono intere municipalità. L´esercito sabaudo diventato italiano risponde con la distruzione di interi paesi e il massacro delle popolazioni come a Pontelandolfo e a Casalduni (Benevento). A questo punto i rivoltosi si danno alla macchia e salgono in montagna: è l´inizio del brigantaggio «classico». Tra questi ci sono contadini e comandanti politici, una parte amplissima della popolazione.

La legge Pica del 1863 proclama lo stato d´assedio in tutte le province del Regno delle Due Sicilie, eccetto Napoli e Reggio Calabria. L´epicentro della protesta fu in Basilicata perché i luoghi si prestavano ai nascondigli, ma anche perché erano lucani i capi più autorevoli come Crocco e Ninco Nanco. La resistenza armata fu l´aspetto più evidente, ma la popolazione respingeva il nuovo ordine, unitario rifiutando di andare a votare o di prestare servizio militare.

Dalla fiction sembra ci sia stata una lotta di classe tra Crocco e i cosidetti galantuomini.
Sì, ma non è andata così. Le aspirazioni della popolazione non erano soltanto sociali, come hanno scritto gli storici di sinistra. Ma c´era un progetto politico di restaurazione dei Borboni. Il primo a parlare di lotta di classe è stato lo storico Franco Molfese, autore di Storia del brigantaggio dopo l´Unità (Nuovo Meridiano), il volume più documentato sul tema, sebbene di impostazione marxista. Poi però Molfese si è pentito, ammettendo che i contadini non sapevano neppure che cosa significasse lotta di classe. In realtà le giuste rivendicazioni della povera gente erano contro quei cosiddetti galantuomini che dopo la rivoluzione francese si erano impadroniti con metodi spesso illeciti delle terre e delle proprietà ecclesiastiche espropriate.

I Borboni invece avevano cercato di restituire i terreni ai contadini e per questo si erano inimicati i galantuomini, la nuova borghesia, che difatti aiutarono Garibaldi e beneficiarono del nuovo contesto unitario. Per la gente invece era l´ennesima sconfitta, per questo invoca il ritorno della dinastia borbonica come garante dei suoi diritti.

Gli errori commessi dal nuovo stato unitario.
Oltre alla sottovalutazione dell´attaccamento del Meridione al regno borbonico, anche l´incomprensione totale di un mondo diverso. Quando i rappresentanti dei Savoia arrivarono in Molise, commentarono: «Questa è Africa, questi son beduini». Poi l´imposizione di uno Stato al Sud sconosciuto: centralista e burocratico. Le nuove tasse erano molto più alte e l´obbligo del servizio militare sottraeva braccia all´agricoltura. Ecco perché anche nella fiction si dice: "O briganti o migranti". Quelli che non volevano prendere le armi erano costretti a fuggire e ci fu un´emigrazione spaventosa, mai vista prima.

Nacque lì la questione meridionale. E si spiega anche la nascita delle organizzazioni criminali (mafia, camorra, ecc). Lo Stato veniva visto soltanto come il carabiniere, l´esattore delle tasse, quello che ti faceva partire il figlio. Poi non dimentichiamo che lo Stato unitario fu immediatamente repressivo nei confronti della Chiesa: oltre 100 vescovi cacciati, proprietà ecclesiastiche requisite e vendute ai soliti notabili, aggravando le condizioni dei contadini. Se non altro, i Borboni avevano capito la matrice anti-cattolica sia della rivoluzione napoleonica che del Risorgimento. Anche nella fiction si mostra Francesco II insidiato, perché cattolico, dalla Gran Bretagna che stravedeva invece per Garibaldi, l´eroe in grado di cacciare il Papa.

Per unificare l´Italia c´era un´alternativa alla conquista militare e alla soppressione del Regno delle Due Sicilie? Prendiamo la Germania. Si è unificata federalmente. Fino alla prima guerra mondiale il re di Baviera era ancora sul suo trono. Tutti i principi tedeschi dipendevano dall´imperatore (Guglielmo II). Non vedo perché Vittorio Emanuele II non potesse diventare imperatore d´Italia lasciando sul trono altri sovrani. E invece si è puntato su un modello di stato che non ha tenuto conto delle specificità locali. Non si tratta di essere filo-borbonici, ma di considerare un regno quello meridionale, diverso per cultura e costumi. E che in 700 anni aveva dato un´identità alla popolazione.

C´è una nuova consapevolezza sul fenomeno del brigantaggio?
Permane tra gli storici un filone «unitario» che considera ancora i briganti alla stregua di delinquenti. E un filone marxista duro a morire che ripresenta il brigante come il cafone che prende le armi perché oppresso socialmente. Eppure anche uno storico come Giuseppe Galasso, che non è certamente filo-borbonico, insiste molto sulla componente dinastica: se nel 1799 ci fu una controrivoluzione per difendere la religione, dal 1860 ce ne fu una per difendere il regno. Certo libri come Terroni di Pino Aprile non aiutano svolgere a un ragionamento articolato: si semplifica e si banalizza troppo etichettando il Nord come predone del Sud. Non è che i piemontesi fossero cattivi. C´è stato un ceto dirigente che ha imposto uno Stato unitario anti-cattolico, non rispettoso delle altre entità statali della penisola, diverse per storia, costumi e cultura.

La questione meridionale nacque allora, così pure quella cattolica e quella federale. È un processo storico che merita di essere riconsiderato. Ci sono anche lodevoli iniziative culturali, per esempio a Gaeta e in Basilicata. Ma attenzione a fare del folklore. Altrimenti si finisce come con lo sceneggiato.
Per completare l´argomento do qualche numero sui costi dell´unione forzata della nostra nazione, lo ha ben scritto l´economista Vito Tanzi, nel suo Italica: i costi economici e umani sono stati enormi, soprattutto quelli umani."Quegli anni terribili restarono molto a lungo nella memoria delle popolazioni meridionali". In una lettera, lo storico Pasquale Villari, scriverà:"Per distruggere il brigantaggio noi abbiamo fatto scorrere il sangue a fiumi".

Come in tutte le guerre civili non è facile avere il numero esatto dei morti. Giacinto de´ Sivo, calcola che nel solo 1861, ci sono stati 47.700 carcerati e 15.665 fucilati. Comunque sia tenendo conto dei territori e dei centri abitati insorti contro l´invasore,che contava di oltre 100 mila soldati regolari e altrettante guardie nazionali, si può sostenere che tra la popolazione meridionale hanno perso la vita da cinquantamila a ottantamila persone, per lo più contadini e braccianti. Nulla si sa delle perdite dell´esercito e delle guardie nazionali. Infine un altro dato impressionante, conseguenza della brutale repressione attuata nel Sud Italia, c´è la "grandiosa emigrazione transoceanica della nazione ´napoletana´, che coinvolge alcuni milioni di persone"
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